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  [record reviews: phanerothyme]




Motorpsycho Phanerothyme

Review of Phanerothyme taken from the
Italian e-zine
MESCALINA MUSICA, 2001.
Italian. Found at the mescalina site and sent in by Rosario Leo, the man himself.


Motorpsycho Phanerothyme
STICKMAN RECORDS / COLUMBIA 2001

Motorpsycho - «Phanerothyme» - cover - front  
1.  Bedroom eyes   2:18  
2.  For free   5:14  
3.  B.S.   3:42  
4.  Landslide   4:38  
5.  Go to California   8:01  
6.  Painting the night unreal   6:36  
7.  The slow phaseout   4:29  
8.  Blindfolded   3:45  
9.  When you're dead   4:52  


"Phanerothyme" era la parte buona della psichedelica nella mente di Aldous Huxley e i Motorpsycho hanno deciso di riprenderne non solo il nome, ma soprattutto l'essenza.
Lo stesso gruppo che aveva incantato il mondo del prog e dell'hardcore con una evoluzione continua carica di ardori chitarristici conferma di aver intrapreso una nuova ricerca sulla scia del precedente "Let them eat cake", lavoro incerto e discusso.

L'ep "Barracuda" aveva riacceso nei fans più accaniti la speranza di ritrovare quell'aggressività mai fine a se stessa che aveva reso il trio di Trondheim una cult band seminale.

Invece ancora una volta Bent e soci spiazzano tutti e compiono una nuova virata: si spegne l'autocombustione chitarristica su cui i Motorpsycho avevano lavorato fino a sperimentare infuocate jam strumentali, ma l'attitudine verso la musica rimane qualitativamente immutata. Certo, parlare di orchestra, flauti, mandolini, oboe, violini, tromba, tromboni, tuba e così via, suona come una incredibile stranezza per un loro disco, ma non è che i Motorpsycho stiano chiedendo a pubblico e critica un ascolto molto più raffinato e libero?

Solo una volta accettata la realtà del cambiamento, arte di cui peraltro questi ragazzi sono sempre stati dotati, si può andare a scoprire i pregi del disco: innanzitutto bisogna constatare come i Motorpsycho, dopo anni di carriera e di dischi metallici, hanno imparato a cantare.
La vocalità, sia solista che corale, è diventata uno strumento di cui avvalersi per creare stacchi, raffinatezze e una scrittura diversa: l'approccio verso le canzoni è infatti mutato verso il pop e verso la cantabilità. Tutto questo senza scadere in leggerezze o sdolcinatezze, ma mantenendo alto il tasso d'intensità psichedelico.

Sia le ballate che i pezzi più mossi presentano passaggi che riportano alla mente i migliori King Crimson e Jethro Tull, ma non è di omaggio o di affinità di cui i Motorpsycho si stanno occupando. Semmai si tratta di ulteriori sperimentazioni condotte sulle proprie capacità strumentali e compositive. Tanta dedizione e tanto studio fa loro onore, ma è il risultato ad incantare: "Phanerothyme" è un disco che ha l'intensità dei migliori lavori della band.
Le strutture dei brani sono melodicamente aperte e complesse, con interventi che variano gli arrangiamenti a seconda dei singoli strumenti e lo stesso canto viene continuamente sostenuto da cori e seconde voci. In tutto il disco il suono delle chitarre, sia acustiche che elettriche, è più liquido che in passato, sempre ispirato e visionario, ma più libero di muoversi.

Unico appunto da fare al disco è "Going to California", grande pezzo, che però ha il difetto di presentare una parte strumentale che ripropone in maniera pedissequa "Light my fire" dei Doors. La California d'altronde è sempre stata uno dei pallini dei Motorpsycho (ricordate la cover stravolta di "California dreamin'"?) e non si fatica a perdonare loro questa debolezza.
La traccia finale "When you're dead" riassume poi tutte le caratteristiche dell'album aggiungendo anche un tocco di mandolino country folk, antico amore mai dimenticato, e un assolo di tromba.

"Per rendere sublime questo mondo corrotto / prendete mezzo grammo di phanerothyme / Per scacciare l'inferno ed evocare il celeste / prendete una pinta di psichedelia", scriveva Huxley e dopo quasi un secolo ha ancora ragione. Grazie ai Motorpsycho.

Christian Verzeletti