Review of Timothy's Monster from the
Italian magazine
RUMORE #37 / February 1995.
In Italian. Transcription by Alessandro Riva.
MOTORPSYCHO
Timothy's Monster
Fin dalle prime prove targate Voice of Wonder, i Motorpsycho hanno dimostrato di essere un
gruppo fuori dal comune. Il loro suono è sempre stato un coacervo di stili. Non si sbaglia
se li si definisce grunge, poichè un'aggressività punk e una intima durezza metal sono
presenti nella loro musica; e neppure se si accosta alla loro poetica l'aggettivo
'psichedelico'. Se infatti con questo termine intendiamo un'attitudine 'esplorativa' nei
confronti del modo di suonare, che tende cioè verso un'espansione della percezione mentale,
allora le loro lunghe saghe acide si prestano a questo gioco dell'immaginario come poche
altre. Il sospirato debutto su major del grande gruppo norvegese coincide con un lavoro
maestoso, che ha saputo migliorare l'unico punto ancora migliorabile: la
produzione.
Grazie infatti ad un budget più sostanzioso, i suoni sono ora più distinti, i brani meglio
focalizzati, la visione dell'insieme meno caotica.
Dal punto di vista strettamente contenutistico, Timothy's Monster è un riassunto,
forse un pò enfatiizato, delle precedenti puntate discografiche. Rispetto al passato i
Motorpsycho sembrano più orientati a scrivere avvolgenti ballate folk, a rilassare
ulteriormente la loro tipica visione nordica dominata dalla solitudine. Sotto questo
aspetto splendono come autentici gioielli la drakiana Feel e On my pillow,
ballata che si snoda tra percorsi chitarristici acidi e soavi armonie folk psichedeliche,
in pratica un mix fra Scandinavia e California. Altrove è più appariscente il modello
Neil Young / Dinosaur Jr. , vedi Trapdoor e Wearing yr smell;
mentre viene naturale pensare a un Syd Barret grunge scoltando Beautiful
Sister. Ma il lato più scopertamente mind-expanding dei Motorpsycho si rivela nei
quattro (lunghissimi) brani che formano un CD a parte. In The Wheel un basso
mammuth scandisce come un gong di bronzo tutti i passaggi di un percorso in trance, fino
allo sfinimento fisico. Mentre gli accordi bucolici di chitarra acustica di Sungravy
ristabiliscono i giusti equilibri psichici. Adoro i Motorpsycho quando sanno calarsi nel
tipico mayhem nordico, come in Grindstone, un vortice di suoni a spirale cui non sono
estranei echi dark e black metal. Infine con The Golden Core ecco nuovamente atmosfere
rilassate, seppur sottilmente inquiete, suoni levigati e 'orizzontali' che portano alla
mente i più dolci My Bloody Valentine.
Questo è tutto. Davvero uno sforzo rimarchevole per un gruppo che non ha ancora raccolto
tutto quel che legittimamente merita. Quantunque affetto in piccoli tratti da qualche
prolissità di troppo, Timothy's Monster ci consegna i Motorpsycho allo zenith
della propria forma. Un gruppo completo sotto ogni aspetto. A questo punto ignorarli sarebbe
un vero e proprio crimine.
Claudio Sorge