Difficile porsi davanti all'ultimo lavoro dei
Motorpsycho
e rendersi conto di doverlo criticare. Eppure
anche i lavori sporchi vanno eseguiti, e
dunque…procedo.
"It's a Love Cult" è un album estremamente
deludente, su questo ci sono pochi dubbi.
Deludente per i contenuti, non certo per la forma,
che è come al solito avvolgente, calda e
profonda.
La band dimostra di continuare sulla strada già
tracciata con "Let them Eat Cake" e soprattutto
con "Phanerothyme":
una musica che si riallaccia alla tradizione
psichedelica degli anni '70 e al pop del decennio
precedente. Facile quindi ritrovare nelle onde
sonore della band norvegese tracce di Soft
Machine, Pink
Floyd, Van
der Graaf Generator, Genesis,
che i Motorpsycho omaggiano con le loro oramai
celebri aperture strumentali, istanti sonori che
squarciano il silenzio e invadono l'aria (come il
crescendo finale di "Carousel", lungo brano che
ricorda all'attacco il Nick
Drake di "Bryter
Layter" e si conclude, dopo sette minuti, in
un'esplosione musicale degna della mente di Peter
Hammill).
Cos'è allora che non funziona nell'album? Il
già sentito…ma non riferito alle matrici musicali
della band, che i tre di Trondheim hanno oramai
fatto interamente loro, tanto da rendere
perfettamente riconoscibile lo "stile
Motorpsycho". No, il problema risiede nella
mancanza di novità rispetto ai lavori precedenti.
Il suono è lo stesso di "Phanerothyme", niente
di più e niente di meno, magari solo leggermente
più corposo, come nella sincopata - ma in fin dei
conti banale - "What If…" o nella caustica e
urticante "One more Daemon", che si riallaccia al
passato meno recente della band, quando in quattro
anni furono capaci di sfornare tre album come
"Demon Box", "Timothy's Monster" e "Angels and
Daemons at Play".
Un passato che inizia a farsi lontano in
maniera preoccupante, offuscato da questo "It's a
Love Cult" e in precedenza da "Phanerothyme", nel
quale si riscontrava la stessa voglia di suonare -
che produce i celeberrimi live della band - e la
stessa mancanza di ispirazione.
Sembra quasi che i Motorpsycho si trovino in un
limbo, blanditi dagli splendori di un tempo, ma
incapaci di innovarsi e dunque costretti a
ripetersi. E, pur ammettendo la grandezza e lo
splendore dell'esecuzione (perché fa comunque bene
al cuore un album così ben suonato), rimane una
fastidiosa impressione di noia.
E poi resta la voglia di immergersi in quei
viaggi psichedelici che la memoria ancora ricorda
bene (a proposito: per la prima volta ho
l'impressione che i Motorpsycho non abbiano molto
ben badato alla sequenza dei brani), e che mancano
in questo album farcito di pezzi da quattro
minuti, magari resi anche pesanti dalle
sovraincisioni orchestrali.
Splendida eccezione è "The Mirror & the
Lie", viaggio in un'altra dimensione, viaggio
ovattato, fluido, emozionale e quasi
impercettibile nel suo intimismo. Da solo vale
l'ascolto di questo album sofferto (per me, non
per loro), imperfetto, sbilanciato (ma non poteva
essere evitato un brano come "Serpentine"?). Mi
sono perso anche la tournée in Italia…avrei potuto
almeno rifarmi gli occhi. Bah…
collegamenti su MusiKàl!
Pink Floyd -
la
Kalporzgrafia
Van Der Graaf
Generator - le
recensioni
Genesis - la
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Nick Drake - la
Kalporzgrafia