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Recensione di

Enzo Santarcangelo

Ciò che rende densa di aspettative e particolarmente ansiosa l’attesa di un nuovo lavoro dei norvegesi Motorpsycho, è la sensazione che l’ascolto di ogni loro disco riesce a procurare. Quella che ti coglie è una soddisfazione di natura, per così dire, filologica: titolo dopo titolo, è come se si facesse ogni volta un passo in avanti nella erudita ricerca su come sarebbe suonato un disco di hard-rock anni ’70 se fosse stato inciso con le odierne, avanguardistiche tecniche di registrazione. Non solo, ci si diletta ad immaginare come sarebbe suonato un disco di hard-rock anni ’70 se si fosse già saputo in anticipo che tutte le speranze coltivate negli anni della protesta studentesca, tutte le utopie riposte nell’animo degli audaci, sarebbero andate a deragliare, come di fatto è accaduto, contro un decennio, gli anni ’80, privo di ideali e governato dalle droghe sintetiche. E così, nel loro mondo ideale fatto di anacronistici organi Hammond, orge naturalistiche ed LSD, i norvegesi si sono meritati l’appellativo di “band di culto”, grazie ad album leggendari come “Timothy’s Monster” (1996), “Trust Us”(1998) (entrambi doppi), “Demon Box” (1993) e “Phanerotime” (2001), vere e proprie scorribande tra psichedelia, hard-rock, garage e country, sempre all’insegna dell’auto-ironia (fattore, questo che li pone al di sopra di almeno una spanna rispetto alle innumerevoli band-cloni) e di una coerenza spesso ai limiti della pedanteria. Coerenza che viene rispettata anche con “It’s A Love Cult”, disco che continua il discorso là dove era stato interrotto dal precedente “Phanerotime”. Il lotto dei brani proposti si apre con la splendida “Uberwagner Or A Billion Bubble”, degna testimone della continuità di cui poc’anzi parlavamo, per poi regalarci autentiche chicche di classica scuola Motorpsycho: “The Mirror And The Lie”, in cui il noto riverbero psichedelico viene arricchito dal suono dei fiati, la jazzata (!) “This Otherness”, e le oramai note ballate prog dall’incedere delicato (“Serpentine”, “Circles e “Carousel”), che ora più che mai strizzano l’occhio al pop. Sia chiaro, “It’s A Love Cult” non aggiunge nulla di nuovo alle geniali intuizioni che hanno fatto grande il nome di questa band, e, tuttavia, rappresenta un nuovo importante tassello all’interno dell’eclettico e visionario mondo di Magnus e soci. Forti di una carriera oramai più che decennale, i Motorpsycho si dimostrano ancora in grado di divertire e di divertirsi, nonostante portino avanti un discorso musicale enormemente esposto a facili critiche e semplificazioni, e ancora in grado di fornirci materiale prezioso per le nostre piacevoli “ricerche filologiche”.