home

  [record reviews: it's a love cult]



MOTORPSYCHO it's a love cult
ALLA RICERCA DEL POP PERDUTO

Review of It's a Love Cult taken from the
Italian magazine
MUCCHIO SELVAGGIO #502 / October 2002.
In Italian. Transcribed by Ricky Scotti.


MOTORPSYCHO It's a Love Cult
Stickman / Self

Dalla copertina colorata a pastello all'incipit classico di "Serpentine",alla ballata acustico-psychedelica di "Circles" allo scoppiettante swing di "What if" (Bacharach sarebbe fiero di loro ...), i Motorpsycho continuano a cercare. Lo fanno con una cifra che è sempre più elegante e sempre meno brutale,che non rinuncia ad alcune ruvidità rock'n'roll (cfr. per esempio lo svolgimento lirico ma diretto di "Uberwagner Or a Bilion Bubbles In My Mind", con le sue chitarre distorte che si incontrano con tastiere strartificate), ma che si sente sempre più a suo agio nella mezzatinta,dove firma uno dei suoi capolavori, quasi un alternate take di pet sounds, la struggente e armonica "The Mirror & The Lie" costruita su pizzicati d'archi, un tocco di alchimia e una melodia davvero ipnotica. Ci sono anche la sinuosa "This Otherness" e la più movimentata "Carousel" a dare un tono ancora più profondo e chiaroscurale a un lavoro che supera in brillantezza il già smagliante "Phanerothyme". Il fatto è che, in mezzo a mille suggestioni e ai traguardi incrociati che hanno saputo raggiungere nel corso degli anni (oltre dodici,ormai), i ragazzi di Trondheim non hanno mai voluto toccare una meta definitiva, un punto di approdo: questo rende "It's a Love Cult" un episodio musicale dala freschezza invidiabile, permette alla band di flirtare con un beat (vedi l'immaginifica e californiana "Neverland") folk e pop espansivo e indimenticabile senza perdere i suoi caratteri originari. Insomma, qui maturità si declina come curiosità: una curiosità che riesce a sfornare un disco all'anno senza annoiare, focalizzando sempre meglio il mood in cui Bent, Snah e Gebhardt vogliono esprimersi. Una rarefazione delle forme, che tocca vertici sublimi e che per il momento non ha modo di deludere: le chitarre sono melodiche e seducenti, i tocchi di qualche tastiera retrò nostalgici e interessanti, la voce calda e avvolgente. La pratica quotidiana musicale ha portato al complesso una capacità espressiva che non teme grandi confronti: alla ricerca del pop perduto, i Nostri trovano un pugno di canzoni universali, che meriterebbero una diffusione ben più capillare di quella che avranno.

Nessuna certezza sul futuro estetico dei tre, quindi, una linea evolutiva che ci appare senza fine e senza alcun tipo di barriera. Dall'urlo al canto, dalla rabbia alla poesia. Rock e Arte possono convivere? A sentire "It's a Love Cult", la risposta pare obbligatoriamente positiva.

John Vignola