I concerti italiani dei Motorpsycho
sono ormai un evento. Il seguito della band dalle nostre
parti è qualcosa di sorprendente ed atipico: stuoli di
fedelissimi che seguono con reverenza ogni show, canzoni
cantate a squarciagola, fan che accorrono dai posti più
sperduti. E la band non tradisce. Non si sa mai cosa
aspettarsi da uno show dei Motorpsycho, è come se si
fosse costantemente sul filo del rasoio, in attesa di
sapere cosa succederà dopo. Un gusto quasi
cinematografico, quindi, con un filo rosso preciso che
contraddistingue ogni esibizione. Ecco quindi gli umori
freak e rock della prima data di Milano, tra estratti
del recente ‘Phanerothyme’ (citiamo in ordine
rigorosamente sparso ‘The Slow Phaseout’, ‘For Free’,
‘Bedroom Eyes’ e ‘When You’re Dead’), passando per la
sognante ‘Trapdoor’ e ‘Now It’s Time To Skate’ cantata a
squarciagola dal pubblico e per l’irresistibile ‘Hey
Jane’. Uno show partito in sordina per la prima
mezz’ora, ma poi letteralmente esploso, con gli
spettatori sempre più coinvolti e partecipi, anche
durante le cover proposte dai nostri – quella di Carol
King ad esempio, riproposta poi anche a Treviso. Peccato
che il tempo a disposizione sia poco (meno di due ore).
La data successiva si svolge in quel di Rimini e qui
cominciano le sorprese: la band decide di riproporre per
intero ‘Phanerothyme’, decisione che lascia interdetti
molti spettatori, che comunque avranno modo di rifarsi
in seguito, quando tra una ‘All Is Loneliness’ e un
finale rock’n’roll tiratissimo, con abbondante spazio
lasciato agli estratti di ‘Barracuda’, lo show si fa più
coinvolgente e diretto. Data magari non indimenticabile,
ma di sicuro interesse per la sua peculiarità. Qualche
giorno di pausa ed è poi la volta di Roma, dove la band
non suonava da parecchio tempo. Data attesa, quindi, e
proprio per questo c’era da aspettarsi qualche novità,
che non si fa certo attendere: per gli amanti del sound
più psichedelico e spaziale dei Motorpsycho, il concerto
di Roma è stato il top. Brani dilatati fino all’eccesso
(la versione pinkfloydiana di quasi mezz’ora di ‘My Best
Friend’ è qualcosa che difficilmente si può
dimenticare), lunghe improvvisazioni e alcune chicche
quali ‘Feel’ e ‘Watersound’ sfoderate dal cilindro con
grande naturalezza. La band è ispiratissima, tanto da
non far pesare l’inusuale lunghezza di brani come
‘Landslide’ e ‘Walking With J’ (per quanto qualcuno
abbia trovato eccessivamente autoindulgente lo show) ed
è indovinata anche la scelta di dedicare parte dello
show al repertorio più rock, tanto per smuovere un po’
gli animi dallo stato lisergico. Due ore e un quarto di
viaggio interstellare, assolutamente imperdibile. Chiude
il quartetto di esibizioni italiane la data di Treviso,
più orientata sul sound dei sixties e con grande spazio
per i brani acustici. Anche in questo caso vengono
sfoderati alcuni brani inaspettati, quali ‘Big Surprise’
o l’incredibile ‘She Used To Be A Twin’, con il pubblico
assolutamente stupefatto. Ancora una votla non mancano
gli estratti da ‘Phanerothyme’ ovviamente (ricordiamo ad
esempio ‘When You’re Dead’, ‘For Free’ e ‘Blindfolded’).
Uno show equilibrato esenza sbavature, coinvolgente come
non mai: sicuramente uno dei più riusciti tra i quattrod
i questi giorni. Da notare che in nessuna delle date è
stato sfoderato uno dei pezzi classici come ‘The Golden
Core’ o ‘Vortex Surfer’, quasi che i tre norvegesi
intendessero conservarli per momenti speciali.
Considerando che dovrebbero tornare da quaste parti in
primavera, non ci resta che attendere
fiduciosi…