Walkin' with Gebhardt
di Luca Fusari, con la preziosa collaborazione di
Francesco Imperato e Gianni Bellani
Per cominciare, una domanda banale: come sta
andando il tour?
Bene, siamo arrivati in Italia
ieri, finora abbiamo suonato in Norvegia, Svezia, Olanda, e
poi Inghilterra, Francia, Svizzera e ora siamo qui. E
finalmente possiamo mangiare del cibo decente, dopo ci è
capitato di essere in Inghilterra e mangiare ‘spaghetti’
[come vedete, sarà anche un luogo comune ma è vero: le rock
band amano l’Italia per il cibo, mica per altro, ndr].
Durante il giorno di pausa a Pisa abbiamo avuto tempo di
mangiare e bere per bene.
A proposito dei concerti: di solito suonate
molto a lungo e cambiate sempre le scalette: avete un criterio
per scegliere i pezzi o dipende dall’umore del
momento?
In realtà dipende dal posto in cui
suoniamo, se in sala c’è troppo riverbero non possiamo suonare
i pezzi più pesanti ma solo le cose più calme. Di solito ce ne
rendiamo conto, noi e il nostro fonico, durante il
sound-check. È lì che decidiamo se fare i pezzi più lenti o
acustici o quelli più pestati. E poi con tutti gli album che
abbiamo…
Appunto, con gli album, come vi comportate?
Scegliete il materiale da pubblicare prima di entrare in
studio o dopo averlo registrato?
Per alcuni album,
in particolare Phanerothyme e Let Them Eat Cake,
abbiamo deciso molte cose a tavolino, volevamo che fossero
album più pop e così è stato. Per It’s a Love Cult,
però, per esempio, non avevamo idee già messe a fuoco, siamo
entrati in studio per ri-registrare o rimixare alcuni dei
pezzi che non avevamo avuto il tempo di finire le volte
precedenti, e poi ci abbiamo aggiunto materiale nuovo. La
sensazione che ho avuto con le registrazioni di quest’ultimo
album è che fossero molto simili a quelle di Angels and
Daemons at Play, allora il procedimento fu lo stesso. Al
momento credo che ci siamo stancati di fare cose troppo
strutturate, per ora la nostra fase ‘pop’ la considererei
chiusa.
Un messaggio per i fans là
fuori…
Sì, anche se non è proprio solo ai fans che
pensiamo quando incidiamo un album. Prima di tutto cerchiamo
di fare cose che siano interessanti per noi, dato che poi
siamo noi quelli che ogni giorno se ne stanno sul palco a
suonarle.
A proposito di ‘strutture’: in ‘It’s a
Love Cult’ la simmetria delle foto che adornano il disco ha a
che fare con quella della scaletta (che ha agli estremi i
pezzi più ‘mossi’ e una lunga sezione centrale quasi
esclusivamente acustica è più morbida)?
Non saprei…
di certo la cosa interessante in molti dei nostri album è che
c’è sempre qualche messaggio nascosto, nella grafica o nei
titoli delle canzoni, e di alcuni di questi messaggi non ci
accorgiamo neanche noi! Con It’s a Love Cult ci siamo resi
conto solo dopo avere scelto i pezzi e la scaletta che i testi
possono essere letti quasi come una specie di ‘libretto’, non
è proprio come in un concept album ma ci sono una serie
di motivi ricorrenti… forse è stato un procedimento inconscio,
o forse l’affiatamento che nasce dopo anni di lavoro assieme
agli altri.
Ti sembra che nel corso degli anni
l’atteggiamento del pubblico ai vostri concerti sia cambiato
(visto e considerato che dal vostro primo concerto italiano
sono passati praticamente 10 anni)?
Non saprei,
quando suoniamo non mi concentro tanto sul pubblico quanto su
quello che facciamo noi, e rispetto a questo ti dico che
senz’altro siamo più esperti, abbiamo più soluzioni da
sfruttare, dai momenti più rumorosi a quelli da set acustico
con mandolino e banjo, e rispetto a chi ci ascolta credo sia
soltanto un bene.
Forse è una domanda che avrei
dovuto fare a chi sul palco sta in ‘prima fila’ o a qualcuno
del nucleo di fans che, negli anni, capita di incontrare
sempre ai vostri concerti…
Sì, è pazzesco… a Pisa
c’erano ragazzi che venivano dalla Sicilia, da Sorrento, Roma…
suona un po’ come un ‘affare di famiglia’, e ha un po’ ha che
fare col titolo del nostro disco – il ‘Love Cult’ sta sia nei
rapporti interni ai membri della band e alle persone che ci
ruotano attorno, che in quelli tra noi e il pubblico. È una
specie di famiglia.
Avere una base di fan così
solida è senz’altro una forza, il che forse vi permette, per
esempio, di continuare sulla vostra strada in maniera
economicamente e artisticamente ‘indipendente’, senza
elemosinare un contratto a una major…
Forse una
major avrebbe fatto al caso nostro se avessimo avuto un hit
single da promuovere, ma abbiamo talmente bisogno di libertà
in quello che facciamo che con una grande etichetta forse
dureremmo non più di un paio di anni. Credo che per una major
lavorare con noi sarebbe difficile, dato che cerchiamo di
cambiare continuamente.
Avete avuto delle offerte
concrete da delle major nel resto d’Europa? [I Motorpsycho,
in effetti, incidono per la Columbia/Sony norvegese, ma nel
resto del mondo a gestirli è l’indipendente Stickman,
ndr]
Sì, abbiamo avuto dei contatti con la EMI
e la Sony in Germania e negli Stati Uniti, ma quando ti vedi
arrivare dei contratti di duecento pagine ci diventi paranoico
e basta; poi in fondo noi veniamo dalla scena punk, e anche se
la musica che suoniamo non è più quella l’attitudine è
rimasta. Vogliamo avere il controllo su tutto quello che
facciamo, ed è logico che la maggior parte delle etichette
discografiche non sia d’accordo con questo, dato che vogliamo
essere sempre noi a scegliere quale sarà il singolo piuttosto
che la copertina…
…o in quali formati pubblicare i
dischi…
…esatto, considera poi che gli EP in vinile
e gli LP singoli e doppi sono piuttosto costosi, ed è una
specie di suicidio commerciale continuare a stamparli, ma se
dopo 13 anni e 15 album siamo ancora qui forse non è un’idea
così sbagliata.
Quale dei vostri album ti sentiresti di
consigliare a che volesse avvicinarsi alla vostra musica senza
avervi mai sentiti?
Hm, in effetti risponderti è
parecchio difficile… forse Timothy’s Monster, dove
trovi sia le cose più pop che i pezzi più lunghi ed epici.
Quello sarebbe un buon inizio, e magari anche Angels and
Daemons… che ha la stessa miscela di pezzi diversi. Oh, e
poi Trust Us, me ne stavo dimenticando… siamo talmente
tanto in giro a suonare o a registrare che non mi piace molto
riascoltare quello che abbiamo già fatto, me ne stavo
dimenticando sul serio… e tra l’altro facciamo anche qualche
pezzo di Trust Us dal vivo… a parte Soothe, peschiamo
pezzi da tutti i nostri dischi.
Tornando ai
concerti, quindi: com’è andato il tour con la sezione fiati
dei Jaga Jazzist?
Benissimo, è stato uno dei tour
più divertenti da anni a questa parte, noi come Motorpsycho
suoniamo così tanto assieme che è stato davvero un bene che ci
fossero tra noi delle ‘orecchie fresche’…
È stata
una cosa simile a quella che si può sentire su Roadwork
2?No, quelle [suonate assieme al gruppo jazz The
Source, ndr] erano soprattutto improvvisazioni, i
pezzi stavolta erano più strutturati, per esempio all’interno
di Nothing to Say poteva esserci un assolo di tromba;
in generale non erano soltanto loro a suonare ‘sopra’ le
nostre canzoni, si è trattato di veri ri-arrangiamenti dei
pezzi.Avete registrato qualcosa?
Sì, abbiamo
registrato un disco intero assieme durante il tour, in due
giorni, ad Amsterdam, e sarà uno dei prossimi volumi della
serie In the Fishtank, dovrebbe uscire a marzo o aprile
dell’anno prossimo; ci sono sia pezzi improvvisati che canzoni
strutturate.
Altri progetti in cantiere, solisti e
no?
Il nuovo album dei miei HGH [il gruppo
country-rock di Gebhardt, ndr] è in uscita tra febbraio e
marzo, dopodiché saremo in tour in nord Europa; Snah e Bent
hanno scritto della musica per una rappresentazione teatrale,
Baard deve finire delle musiche per un film entro Natale ed è
sempre lì che scrive musica, quindi siamo sempre occupati,
come sempre del resto.
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